The Venice Glass Week HUB Palazzo Querini Calle Lunga San Barnaba, Venezia 9-16 Settembre 2018
IN VITRO VEDERE, PENSARE, ASTRARRE ATTRAVERSO IL VETRO
La fascinazione di Massimo Ballardin per il vetro nasce precocemente, quando ancora bambino soleva raccogliere da terra e osservare controluce i frammenti vitrei colorati nella vetreria artigianale del padre. Questo “imprinting” infantile riemergerà come un fiume carsico quando l’artista, dopo le fondamentali esperienze formative presso l’Istituto d’Arte “De Fabris” di Nove prima e l’Accademia di Belle Arti di Venezia poi, si porrà la questione riguardo i mezzi espressivi cui affidare la propria ricerca artistica. Decisiva si rivelerà anzitutto la formazione ceramistica sviluppata presso l’Istituto d’Arte novese, custode della tradizione ceramica vicentina, dove Massimo Ballardin ha potuto apprendere le tecniche di lavorazione dei materiali (successivamente affinate per il vetro anche a Murano) e la sintassi formale che oggi riversa sulle sue “forme-matrici” in argilla refrattaria.
Proprio dalla creazione plastica di queste matrici ha inizio la concezione e la gestazione dell’opera in vetro che, attraverso progressivi cicli termici e tecniche proprie della vetrofusione, prende il corpo di lamine vitree di forma e spessore variabili, generate dalla progressiva fusione controllata di bacchette o frammenti vitrei contigui, per lo più trasparenti, adagiati prima del trattamento termico sulle matrici stesse. L’adesione alla matrice delle diverse masse vetrose, riportate ad un stato opportunamente fluido, consente all’artista di trasferire alla superficie dell'opera vitrea i valori plastici della matrice stessa. All’uscita dal forno, la separazione/scissione dell’opera vitrea dalla propria matrice rappresenta una rivelazione/rinascita, nella quale forme e volumi dell’argilla si trasmettono riproducendosi in una materia nuova e del tutto diversa, sublimandosi nel vetro con esiti solo in parte determinabili, ma mai esattamente prevedibili. La trasparenza del vetro produce del resto una smaterializzazione percettiva dell’opera, cui l’artista ricorre, sovrapponendo e intersecando ai piani della matrice a quelli dei frammenti vitrei iniziali, per creare una sorta di “trappola” luminosa, sensibile alla variabilità dell’intensità della luce e del suo angolo di incidenza con la superficie vetrosa.
Così, nella serie degli “Incolori”, l’artista sembra volutamente agitare le sue ondulate lamine vetrose prive di colore per indagarne la struttura interna. Sfruttando la densità sottoraffreddata della materia vitrea, egli ne scruta perspicuamente piani ed ispessimenti, lacune ed inclusioni. Traspare quasi l’intento di “congelare” la tipica libertà di movimento di un elemento liquido per rallentarne i flussi e captare una delle possibili forme di uno stato che per propria natura forma non ha. Si rendono con ciò evidenti le linee di moto attraverso cui è avvenuto lo scorrimento del vetro fuso. Le stesse lungo le quali si orienta la luce che si riflette e rifrange con effetti di placido lirismo, giungendo ad una nuova definizione di spazio in movimento.
Nella serie delle “Tramature”, invece, Massimo Ballardin perviene attraverso la medesima fusione di bacchette vitree, in questo caso colorate, ad una composizione policroma regolare che si intreccia ortogonalmente a quella trasmessa dalla matrice argillosa. L’opera vitrea che ne scaturisce, prevalentemente bidimensionale, esprime una tessitura di elementi costruttivi mai casuale o confusa, ma del tutto cartesiana, anche negli accordi cromatici individuati secondo rapporti compositivi quasi sempre tonali. Ne deriva la determinazione di equilibrati ritmi percettivi, che fanno delle “Tramature” una sorta di lenti caleidoscpiche, ove è sempre la luce a fondere visivamente i diversi caratteri delle due superfici ordite (su cui sovente l’artista interviene ulteriormente con mezzi fisici o chimici) e a realizzare una completa sintesi di tutti i loro valori formali, volumetrici e cromatici. L’opera vitrea si libera così dalla necessità di un qualsiasi supporto e supera quegli stessi limiti fisici che potrebbero precludere (e hanno a lungo precluso in opere realizzate con altri mezzi espressivi) all’osservatore la percezione spaziale della superficie a sé non direttamente rivolta. L’esito è quello di una completa immersione visiva, fisica e psichica, dentro la materia vitrea e di uno sguardo che in tal modo condizionato si fa riflessivo ed intimistico. In queste opere di Massimo Ballardin, l’osservatore, che pur pare invitato anche ad un rapporto tattile, quasi ludico e infantile, con i caratteri plastici della composizione, è anzitutto condotto all’interno di un nuovo spazio astratto, ove affiora la dimensione emotiva e metafisica del suo intento creativo, evocativa di realtà intangibili ed invisibili, se non “in vitro”.
Federico Finetti
Oggetti in vetro di Murano, realizzati in vetrofusione. Dimensioni 45 x 40 cm ca.